Escalation
I modi per ritualizzare
lo scontro sono andati smarriti
e quelli correnti
promettono divertimento
ma non safety.
Ottimo campo da gioco
sono le strade carrabili, dove
chi monta un asino
schifa chi è in groppa
a una vacca.
I modi per ritualizzare
lo scontro sono andati smarriti
e quelli correnti
promettono divertimento
ma non safety.
Ottimo campo da gioco
sono le strade carrabili, dove
chi monta un asino
schifa chi è in groppa
a una vacca.
Michelstaedter era snello. Per dirla tutta, aveva il physique di un attore americano: bella mascella, ciuffo, spalle larghe, fianchi stretti. Anche se filosofo fin nel midollo, sportivo: vela e alpinismo. Ma poi, naturalmente, anche pittore e poeta (non eccelso… La Persuasione e la Rettorica non ha equivalenti nella sua poesia – fra ottava e filastrocca – o nella sua pittura – impressionista, siamo a cavallo del primo decennio del Novecento). I suoi interpreti sono spesso ancora troppo sconvolti dal fatto che si sia suicidato a 23 anni.
L’occhio che Kubrick
forzò all’esposizione del gioco d’ombre,
dovette in seguito vacillare
sul parapetto di un balcone
al centesimo piano
e fatalmente
pendere per la fame. Il suo recupero
fu un’impresa degna
di entrare negli annali
della manutenzione.
Dei bagnanti lungo il canale, restano,
allo stato dell’arte, solo volumi muscolari
rappresi in spessori di uno o due
millimetri; bruni e terre i toni.
L’ultima pugnalata potevi
risparmiarmela. Se ci pensi, potevi
fermarti anche prima, prima addirittura
della penultima. Dai,
làsciatelo dire – però
guardami negli occhi: potevi
non pugnalarmi proprio, ammetti.
Non m’importa di commuoverti, di vederti
piangere o fare penitenza.
Se te lo dico, è per congratularmi.
Un tiro di quattro cavalli,
un servizio, una volta
alla settimana,
da Abilene
a San Antonio.
I nativi fanno parte
della scenografia
e del gradimento. La merce
è l’emozione. (L’in-
seguimento, scritto
in piccolo, si paga a parte.)
Una merce alimentare, un cosiddetto “piatto pronto”, delle polpette
di carne, da scaldare in forno a 180° per dieci minuti
(o nel microonde per tre). Si rinnova
il miracolo della potenza tecnica,
che all’assaggio mi fa esultare
e subito dopo piangere.
L’integrazione funzionale spinta
dell’essere umano al sistema
fa sì che le sue ore d’aria
serbino e conservino, in casi
gravi ma anche medi, un segreto –
quella cosa, cioè, che,
malgrado la possibile
indecenza, è sempre e soprattutto
opportunità narrativa.
Tanto aveva sofferto di essere orfana, tanto aveva pianto sua madre, che volle in qualche modo vendicarsi della sorte e mettere al mondo un figlio solo per coccolarlo con trasporto smodato. Mi ha fatto venire a nausea ogni genere di tenerezza a forza di soffocarmi di abbracci e prima di arrivare alla mezza età non volevo più esser baciato da nessuno, sono pieno da scoppiare di manifestazioni affettuose, sono saturo di smancerie, ed è una forza di cui la ringrazio, non andrò a mendicare carezze come fanno tanti uomini malamati che si lasciano allettare da un’ombra di sorriso.
Albert Caraco, Post mortem, traduzione di Tea Turolla, Adelphi, 1984, p. 59.
Questi racconti non sono qualitativamente paragonabili a La vita in tempo di pace, ma contengono tutti gli ingredienti del romanzo e sono la palestra in cui Pecoraro si fa le ossa (in vista del romanzo).
Dei sette che compongono la raccolta, uno è molto bello e strutturato (Farsi un Rolex), due sono avvincenti (Camere e stanze e Happy hour), uno è filosofico (Il match), uno è filosofico-splatter (Rosso Mafai) e uno è il germe del primo capitolo della Vita (Vivi nascosto), e dunque il più stimolante.
Resta il racconto che chiude il libro, Uno bravo. Caso curioso, mi sembra, perché, se lo spunto narrativo è il più sorprendente (un manager di successo, uno bravo, appunto, che si tatua la faccia), nei fatti, lo sviluppo e la conclusione finiscono per richiamare il romanzesco più bieco e sdato. Un fallimento importante e significativo.
Francesco Pecoraro, Dove credi di andare, 2007, 197 p.